Maggio 24, 2017

Chi sono

Mario Vorraro, nasce a Napoli nel 1960. Musicista e liutaio.

Inizia la sua attività musicale in età giovanissima interessandosi di musica popolare. Mandolinista e chitarrista (preferibilmente chitarra battente) è autore di rielaborazioni e arrangiamenti sia di brani italiani che napoletani, quali “Quintetto Tabarin” (Canzoni tra le due guerre) e “Paranza di Somma Vesuviana”. Conosciuto per la partecipazione a numerosi spettacoli televisivi Rai e teatrali (Roberto De Simone, Mariano Rigillo, Tato Russo, etc.), ha collaborato con numerosi esponenti della musica napoletana e non (Roberto De Simone, Mario Merola, Nunzio Gallo, Milva, Irene Fargo, Eugenio Bennato, Giovanni Mauriello, Carlo Faiello, Orch. “Anepeta”, Orch. “R. Calace”, etc.).

Dal 1993 si è dedicato all’arte della liuteria occupandosi di costruzione e restauro di strumenti a plettro e a pizzico. Ricerca, principalmente, la purezza del suono rendendo ogni strumento unico e originale, alleggerendolo da tutto ciò che è superfluo, proprio per permette al suono di “camminare” senza ostacoli… strumenti leggeri, sonori, equilibrati…essenziali nella loro bellezza…

Nel 1923 nello “STUDIO SULLA COSTRUZIONE del mandolino Napolitano” (Ancona, Italia 1923) l’autore, March. G. Accorretti, auspicava una rinascita della necessità di perfezionare il mandolino napoletano poiché, una non trascurabile superficialità aleggiava nelle anguste botteghe dei liutai che non venivano sollecitati dai musicisti a sperimentare quello che poteva deporre a favore delle loro esigenze musicali. Egli, così, ammoniva:”(….) coloro poi che ricoprono addirittura il piano di figure o di fregi, in nero od a colori, (….) sono veri profanatori dell’arte (….) una doppia o tripla filettatura che gira intorno alla tavola e ripetuta alla buca sia dunque l’unico ed abituale ornamento di un istrumento serio, lavorato da un artista (….)”.

Questa incomprensibile riluttanza a continuare quel tentativo di rinnovamento iniziato nella metà del Settecento, quando i liutai Vinaccia e Fabbricatore modificarono il mandolino “arcaico” del Seicento dando vita al primo tentativo di mandolino napoletano e proseguito nel Novecento ad opera di L. Embergher e R. Calace, si è purtroppo perpetuata fino ai giorni nostri. Il mandolino “bello e sonoro” di cui tanto scriveva Accorretti non è stato più ricercato.

L’essermi imbattuto di recente in questo prezioso volumetto è stata fonte di meraviglia e stupore: leggevo che, fortunatamente, ciò che realizzavo già da anni, opponendomi tenacemente ad una mentalità obsoleta e reticente, tendeva a quell’ideale strumento. Proprio perché non ero riuscito a trovare strumenti che avessero appagato le mie esigenze di musicista ero stato “costretto” a diventare liutaio.

I punti principali a cui mi ispiro nella costruzione degli strumenti sono proprio quelli mirabilmente espressi dall’Accorretti:

– Ricerca e uso di legni pregiati, stagionati e di massima qualità.

– Leggera modifica ai corpi (casse di risonanza), al diapason (lunghezza della corda vibrante) ed al calibro delle corde, causa quest’ultima, molto trascurata, di difetti di intonazione.

– Curare lo spessore dei legni per non appesantire lo strumento ( a vantaggio di una maggiore risonanza).

– Un particolare gusto per quanto concerne l’estetica: semplice, ma risaltante all’occhio,con coerente pitturazione non sofisticata, per non renderlo simile a delle tipiche bomboniere nuziali, ma leggera ed efficace, sempre allo scopo di favorire una buona risonanza. “(….) un istrumento oltre che buono deve essere anche bello, e la sua bellezza consiste nell’eleganza delle forme, nella scelta dei legni e nell’accurata lavorazione e finitura di ogni sua parte (….), e, la vernice, preparata in modo che vi formi sopra come una crosta senza imbeverlo, lo protegge dall’umidità, gli conferisce qualità sonore e gli dà bell’aspetto(….) G. Accorretti)”.

– Infine il non essere mai condizionato dalle incoscienti richieste di produrre strumenti in breve tempo, in quanto il rischio cui si va incontro è ben raccontato da un’antica metafora tutta napoletana. ” ‘a gatta ppè ffà ‘e figlie ampressa ‘e facette cecate…” (la gatta per mettere al mondo i figli frettolosamente li fece……. ciechi!).

Per concludere questa breve presentazione non posso non divulgare quello che considero il mio miglior risultato: l’aver dato “vita” ad uno strumento (v. Mandola tenore) ricercato invano negli anni, dai compositori, dai musicisti, dalle partiture….. e certamente anche dal March. Accorretti al quale, mi auguro, aver reso un modesto contributo, supportando con tenacia e serietà il suo prezioso “Studio” di questa stupenda Arte…..”.

Momenti…

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